Dalla tradizione giapponese, la carta washi
Wa = "giapponese" e shi = "carta" è il nome di una carta tradizionale del Giappone fabbricata a mano utilizzando le fibre interne di alcune piante: questa tecnica di lavorazione è stata inserita nel 2014 dall’UNESCO tra i Patrimoni orali e immateriali dell’umanità.
La carta artigianale washi è stata utilizzata per oltre mille e trecento anni come supporto per gli scritti buddhisti, per l’ikebana (l’arte della disposizione dei fiori recisi), per gli origami (arte giapponese di piegare la carta), per lo shodo (arte giapponese della calligrafia), per l’ukiyo-e (stampa artistica giapponese su carta impressa con matrici di legno), per decorare lanterne, paralumi, kimono e paraventi.
ukiyo-e
Per la sua capacità di filtrare la luce, questa carta venne impiegata per la realizzazione delle chouchin, le lanterne per rituali, cerimonie, e decorazioni (come insegne nei negozi o appese fuori davanti un’abitazione con il nome della famiglia) utilizzate ancora oggi.
chouchin
Pur essendo nota come “carta di riso”, la washi non si produce con il riso, ma nasce dalla lavorazione delle fibre di alcune piante tipiche giapponesi: il kozo, pianta della famiglia del gelso, la mitsumata e la gampi che, secondo la cultura giapponese, rappresentano gli elementi maschile (fibre robuste), femminile (fibre sottili) e nobile.
I giapponesi scoprirono che le fibre del kozo erano particolarmente adatte per creare una carta sottile, ma allo stesso tempo resistente.
Fu introdotto anche l’uso di un nuovo collante mucillaginoso estratto dal bulbo dalla pianta del Tororo Aoi, capace di distribuire la fibra del kozo in maniera omogenea nell’acqua, evitandone l’addensamento e dando vita ad una carta levigata e robusta.
Si possono usare anche fibre di bamboo, canapa, riso e frumento, che conferiscono caratteristiche differenti al prodotto finale.
La leggenda racconta che sia stato un monaco buddhista coreano a introdurre la washi in Giappone, attorno al 610 restando, però, a lungo utilizzata solo delle classi più agiate.
Nel periodo della dinastia Heian (794-1185), gli artigiani raggiunsero uno straordinario grado di maestria nella fabbricazione della carta e produssero varietà di washi di altissima qualità. Le tecniche di fabbricazione si raffinarono sempre di più e la pasta della carta fu arricchita con petali, erbe, foglie, polveri d’oro e d’argento, e fu aggiunto dell’incenso che preservava la carta dall’attacco degli insetti.
Nelle successive epoche Kamakura (1185-1333) e Muromachi (1333-1568), la produzione di washi si intensificò, restando comunque caratteristica delle comunità contadine che vi si dedicavano nei lunghi mesi invernali. Servono, infatti, acqua fredda e pura e basse temperature per ammorbidire la corteccia di kōzo, di mitsumata e di gampi.
I più comuni tipi di washi sono tre:
- Ganpishi (雁皮紙), maggiormente utilizzato per la creazione di oggetti di artigianato o per libri, ha una superficie liscia e lucida.
- Kozogami (楮紙), la più diffusa, simile alla tela.
- Mitsumatagami (三椏紙), anticamente utilizzata per la stampa della carta moneta.
La decorazione avviene attraverso diverse tecniche:
- con stampe intagliate a mano in legno (xilografia).
La xilografia giapponese è una tecnica di incisione artistica unica al mondo. È una tecnica non tossica perché per la creazione delle immagini vengono usati legni naturali, colori ad acqua e carta fatta a mano. - con stencil che vengono ripetutamente spostati per ripetere il motivo (katazome).
- con serigrafia attraverso teli di seta (chiyogami) usando colla di amido di riso per bloccare i colori mentre si applica il disegno (yuzen).
Questi metodi di colorazione e disegno della carta sono simili a quelli usati per i tessuti.
Nel corso dei secoli, la lavorazione della carta divenne la specializzazione di molte località del Giappone e oggi ne esistono migliaia di varietà di grande raffinatezza.
La lavorazione artigianale è praticata oggi in tre comunità del Giappone: nel quartiere di Misumi della città di Hamada, Prefettura di Shimane; nella città di Mino, Prefettura di Gifu; nel villaggio di Higashi-Chichibu e nella città di Ogawa, Prefettura di Saitama. Si tratta di carta lavorata a mano, di buona consistenza, resistente e anche traslucida.
Un’innovazione nel processo di produzione è la tecnica del nakashizuki: usando un setaccio è possibile stratificare più volte le fibre in modo da aumentare la resistenza. Il processo di lavorazione prevede un rituale antico, che si tramanda da generazioni.
nakashizuki
La carta viene ottenuta immergendo le fibre del gelso in acqua di fiume e raccolte in fasci di rafia.
Dopo una notte a bagno, la rafia è sottoposta a bollitura e candeggiata naturalmente in acqua sotto il sole o con l’utilizzo di un agente chimico.
Le impurità rimanenti sono trattate manualmente. La fibra viene sottoposta ad una ulteriore battitura e poi posta in vasche, dove, con una sorta di pettine, viene stesa la mucillagine. Questo è l’elemento tradizionale per creare i fogli washi con il metodo antico e fa sì che le fibre siano mantenute sospese nella soluzione senza annodarsi tra loro.
Quando il foglio bagnato raggiunge lo spessore voluto, lo schermo del tino viene liberato dalla struttura ed i nuovi fogli bagnati rimangono impilati uno sull’altro. Grazie alla mucillagine, i fogli possono essere separati facilmente, poiché nel corso della lavorazione si sono formati sottili film viscosi che li dividono. I fogli singoli vengono, infine, liberati dall’acqua con una pressa ad elica, appoggiati su materiali lisci, secchi e caldi per l’asciugatura.
L’arte delicata e complessa della washi è praticata ormai solo da pochi anziani artigiani, alcuni dei quali sono nominati “tesori nazionali viventi”, titolo concesso in Giappone ai maestri delle arti manuali al fine di preservare le tecniche e le abilità artistiche in pericolo di estinzione.